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Una testimonianza della storia dell’Alpinismo nelle valli di Lanzo presso la sede del CAI di Lanzo ...

Ecomuseo dell'alpinismo 

L'attività mineraria nelle Valli di Lanzo

L'attività mineraria nelle Valli di Lanzo

Cucina/sala mensa e
rimessa locomotore

"Calcant e Pera Cagni o valant più che Fransi e Spagni" (Calcante e Pietra Cagna valgono di più di Francia e Spagna) questo detto popolare indica quanta importanza abbia avuto l'attività mineraria nelle Valli di Lanzo, dal Medioevo fino ai giorni nostri. Lo sfruttamento dei numerosi giacimenti ha caratterizzato fortemente l'economia valligiana per un arco di circa otto secoli.
Ai tempi dei primi insediamenti in valle si estraeva la pietra ollare, impiegata soprattutto per fabbricare vasellame e suppellettili varie.
Le prime notizie documentate sull'attività mineraria nelle Valli di Lanzo risalgono alla seconda metà del '200. I minerali più comuni erano il ferro, il rame e, soprattutto in Val Grande, l'argento.
Si favoleggiò per secoli di ricche miniere d'oro, ma questo nobile metallo fu rinvenuto soltanto in quantità irrisoria nei giacimenti di altri metalli.
Nel 1267 erano già attivi i forni di Lemie, Chialamberto e Groscavallo. In quegli anni nacquero alcuni villaggi legati all'attività mineraria, tra questi Forno di Ala (poi Chialamberto), a cui facevano capo le miniere dell'Alta Val d'Ala, e Pertusio (nel comune di Ceres), dove si lavorava il minerale del vallone di Crosiasse e della Courbassera.
Nel 1289 nasceva per lo stesso fine il villaggio di Pessinetto, chiamato anticamente Forno di Pessinetto.

Le miniere nel trecento

Nella prima metà del '300 si assistette a un buon sviluppo dell'attività mineraria, anche grazie alla scoperta di numerosi nuovi giacimenti: scavi minerari di argento furono aperti nei territori di Usseglio, Cantoira, Ala e Groscavallo, un altro di rame sui monti di Lemie. Tra queste miniere una è al di là dello spartiacque italo-francese, quella di argento di Beçano, che si identifica con la vecchia miniera del Creux des Allemands, posta sotto il Colle del Carro a 3000 m di altezza circa. I minatori che lavoravano in questa miniera e in quella di L'Ouille des Pariotes, giacimento di minore importanza, portavano il minerale estratto a dorso di mulo attraverso il Col des Pariotes e il Col Girard (1) a Forno Alpi Graie. Il conte Luigi Cibrario ricordava in un suo trattato che intorno al 1300 a Lemie "si lavorava il ferro in molte fucine". Significativamente, a tale specializzazione degli abitanti delle Valli nel lavorare il ferro corrisponde, nel 1347, la fusione di alcune bombarde (2) da utilizzare per il castello di Lanzo, tra le prime in assoluto ad essere state colate in Italia.

Galleria Ribassa

Lo sviluppo dell'attività mineraria e metallurgica fu bruscamente interrotta nel 1348 dalla violentissima epidemia di peste nera, che non risparmiò nessuna delle vallate alpine.
Tutte le attività si arrestarono per alcuni anni, sia per la mancanza di manodopera sia per le conseguenze della grave carestia che seguì alla pestilenza.
Passati quegli anni travagliati, il territorio delle Valli conobbe un periodo nel quale l'economia, e quindi anche l'estrazione e l'affinamento dei metalli, ebbe un nuovo impulso, grazie anche all'immigrazione di manodopera specializzata proveniente dalla Val Sesia e dal Bergamasco.
Notevole doveva essere la produzione e la qualità di ferro lavorato intorno al 1380, infatti il comune di Lanzo si appellò al conte di Savoia perché prendesse provvedimenti nei confronti dei "mercanti ultramontani" che contraffacevano il marchio di qualità dei prodotti fabbricati nelle valli.
L'argento veniva affinato nelle valli e quindi destinato alle zecche sabaude (3), mentre il rame e il ferro finivano il loro ciclo produttivo all'interno del territorio. Questi minerali venivano lavorati nelle numerose fucine per ottenere oltre alle armi, sempre richieste, anche utensili di lavoro e da cucina che costituivano per il loro pregio, una delle principali voci di esportazione dell'economia valligiana.

Il quattrocento

 Nei primi decenni del '400 il lavoro nelle miniere fu assai ridotto. I Registri dei conti della Castellania, contenuti nell'Archivio di Stato di Torino, riportano tra le cause di questa sospensione dei lavori a Lanzo, la pestilenza e la guerra che in quegli anni funestavano le valli. Verso la fine del secolo si ritornò a buone produzioni e venne dato impulso alla ricerca di nuovi giacimenti che sostituissero quelli, ormai numerosi, già esauriti. I documenti esistenti presso l'Archivio di Stato di Torino consentono di avere un quadro abbastanza completo delle miniere e delle fucine attive verso la metà del '500. In una relazione del cavalier Giusti "delle miniere da lui riconosciute" si ricorda "accanto all'attività della Val d'Aosta e di Brosso [...] quella della Val di Lanzo dove fondevano le sabbie di ferro" per una produzione annua di quasi 370 tonnellate (4).

Il seicento e settecento

Nel corso del Seicento si rileva un importante cambiamento: le miniere, in passato concesse dal Duca di Savoia a privati o a società di imprenditori, ora spesso venivano gestite direttamente dai Comuni, che le affidavano a lavoratori specializzati con cui venivano concordate lunghezza e dimensioni (5) delle gallerie da scavare e il relativo compenso. Tra le più antiche ancora particolarmente attive erano le miniere di ferro e d'argento di Groscavallo (specie Rambeisa e Trione). Verso la fine del secolo a Groscavallo e Chialamberto assunse speciale rilievo la fabbricazione di palle per cannoni, sempre più richieste dallo Stato sabaudo a causa delle frequenti guerre in cui si trovava coinvolto.
Nel '700 anche in Val Grande l'attività diminuì progressivamente e numerose miniere vennero definitivamente abbandonate. La nascita e il moltiplicarsi delle industrie nella vicina pianura stimolarono nuove ricerche di minerali; in alcuni casi si ebbero buoni risultati, ma quasi sempre lo sfruttamento dei giacimenti non durò a lungo o per l'esaurirsi dei filoni, o per la carenza di combustibile o per gli eccessivi costi di estrazione. Un cenno a parte meritano i giacimenti di cobalto di Usseglio, nel vallone del Veil, sfruttati tra il 1753 e il 1848, nei pressi della Punta Corna e del Monte Bessanet. La rarità di questo metallo, allora impiegato nella sintesi del vetro, ne rendeva fiorenti le esportazioni, prevalentemente in Germania.

Dal XIX al XX secolo

Nel 1823 iniziò lo sfruttamento delle miniere di ferro dell'Alpe Radis, a quota 2350 m circa nel vallone di Lusignetto sopra Ala di Stura. Il minerale veniva trasportato a valle su slitte lungo la mulattiera fino alla "Fabbrica" di Ala di Stura, dotata di macina, forno, affineria e fucina. La miniera, la fabbrica e le carbonaie occupavano fino a 180 persone.
Altra zona di intensa attività per la lavorazione del ferro fu quella dell'Uja di Calcante (tra Mezzenile e Traves). Sul versante di Mezzenile i conti Francesetti, oltre a sfruttare le sabbie di ferro, estraevano ottimo minerale di ferro, utilizzato dalle fucine locali. La penuria di combustibile determinò anche qui l'abbandono dei giacimenti, quantunque questi fossero assai promettenti.
Nel 1870 cominciò l'attività della ditta Pietro Possio di Lanzo, che si sviluppò nel '900 attraverso lo sfruttamento delle miniere di talco delle Valli. Dapprima l'estrazione si svolse a cielo aperto in alcuni giacimenti presso Viù e successivamente l'impresa si trasferì in Val Grande presso l'Alpe Brunetta.
Infine, nel 1880 la Società Dinamite di Avigliana iniziò lo sfruttamento della miniera di pirite di Fragnè, presso i Prati della Via di Chialamberto, che proseguì l'attività fino al 1964.
L'unico giacimento che ancora si presentava economicamente sfruttabile era quello di amianto a Balangero. La cava acquistò sempre maggiore estensione e importanza, tanto da diventare il giacimento di amianto a fibra corta più grande d'Europa: una "città mineraria" in cui avveniva il ciclo completo di lavorazione del minerale. Un moderno impianto la cui chiusura, avvenuta nel 1990, è stata decretata dall'eliminazione dell'amianto dagli impieghi civili. Tale chiusura ha posto fine all'attività mineraria in Val di Lanzo.

Politica economica e manodopera specializzata

Le prime notizie documentarie sull'attività mineraria nelle Valli di Lanzo, come già visto in precedenza, risalgono alla seconda metà del XIII secolo. Durante tale periodo questo lavoro lo troviamo già particolarmente sviluppato. Agli inizi del '300 Margherita di Savoia, moglie del marchese di Monferrato, emanava una serie di norme legislative contenute negli Statuti di Lanzo e una parte di essi trattava dell'attività mineraria e di aspetti ad essa connessi.

Galleria Ribassa - Serbatoio
per l'aria compressa

Per quanto concerneva il ferro, sia perché metallo di importanza vitale per l'economia del tempo, sia per salvaguardarne la produzione locale, le disposizioni erano rigide: soltanto chi era residente poteva possedere fucine per la lavorazione del minerale, trattandone quantità limitate, i cui prodotti andavano poi smerciati unicamente sulla piazza commerciale di Lanzo. I diversi profilati ottenuti dovevano portare impresso un marchio di qualità e garanzia. Altri provvedimenti riguardavano la sicurezza delle fucine e di chi vi lavorava, lo smaltimento e stoccaggio delle scorie di lavorazione e il problema del disboscamento, originato dalla necessità di disporre in gran quantità di carbone di legna per gli impianti (vi erano restrizioni circa le zone dove procedere al taglio dei boschi e anche sul tipo particolare di pianta da utilizzare) (6).
Tutto ciò conferma che nelle Valli si era da tempo sviluppata un'attività estrattiva e metallurgica tanto fiorente da richiedere una regolamentazione precisa.
Inoltre, le grida (7) del Principe vietavano a chiunque non risiedesse nelle nostre Valli di commerciare nelle medesime. Così pure era vietato lavorare "fuori dalla patria ducale sabauda": Raimondo Poma e Gioanni Macia di Brachiello nel 1470-71 furono puniti di multa, perché "contro la proibizione dell'Ill.mo Duca nostro Signore furono ad esercitare l'arte della lavorazione del ferro (artem ferrerie) fuori dalla patria ducale". Probabilmente era anche proibito possedere monete estere. Il sig. Antonio Castagneri, nel 1467, fu costretto a pagare 3 fiorini poiché fu trovato con una moneta d'argento coniata dai Conti di Limoges (8).

Spostamenti della manodopera specializzata

La fama delle miniere richiamò nelle valli minatori e fucinatori valsesiani e lombardi, specialmente bergamaschi, che si concentrarono a Forno di Lemie, con le rispettive famiglie (9). Insieme ad essi giunsero anche imprenditori di lingua tedesca (Alamanni), provenienti probabilmente dalla Valle di Gressoney. Dopo una breve parentesi di circa vent'anni, dal 1454 al 1476 in cui le miniere vennero date in concessione a Guglielmo Arcourt, ritornarono nuovamente gli Alamanni con Hans Mule e successivamente subentrò una società capeggiata da un certo Giorgio Vayquinet.
Il Duca era tuttavia geloso dei suoi artigiani e non risparmiava nessun mezzo per tenerli sul suo territorio: è noto che i più abili e industriosi artigiani potevano facilmente aspirare a titoli di nobiltà e crearsi uno stemma gentilizio. Un esempio significativo è quello della famiglia dei Castagneri di Voragno che, con due differenti rami del casato, nel corso del '500 e del '600 acquisirono un titolo nobiliare con il lavoro delle fucine e delle miniere.

La famiglia Castagneri

 La famiglia Castagneri fu tra i protagonisti dell'industria del ferro, che raggiunse il suo apogeo nella seconda metà del '500. Il primo ramo è quello di Gian Castagnero Lench (1550-1642) che da Voragno si trasferì a Balme e fece del piccolo villaggio un comune autonomo con parrocchia. Qui costruì il "Rociass", casa-forte dalle muraglie enormi e dagli accessi angusti, a difesa dagli uomini, ma anche dalla furia degli elementi. Egli, inoltre, era comproprietario in molte fucine della valle. Con il passare dei secoli divenne una figura leggendaria. Si narra ch'egli si sarebbe arricchito coniando monete per proprio conto, non falsificandole, ma servendosi dei metalli ricavati dalle miniere della valle. Disponeva di giacimenti segreti non solo di ferro, ma anche d'oro e d'argento, con cui coniava monete nei sotterranei del Rociass (10). L'altro ramo della famiglia è quello di Antonio Castagneri che si trasferì, all'inizio del '500, ad Argentine nella Bassa Maurienne, per esercitarvi l'attività di fabbro e fonditore. Suo figlio Pietro e suo nipote Giovanni Battista crearono un vero e proprio impero imprenditoriale, fatto di miniere e di forge, fino ad ottenere dal duca il privilegio di "costruire un artificio da far filo di ferro, di rame e d'ottone e far ferri bianchi". Questo privilegio venne confermato al figlio, Pietro Antonio, che divenne Consigliere di Stato, Presidente della Camera di Savoia, Signore di Chateauneuf e di Fraidière (Savoia). Questi eresse un castello ad Argentine e ne ricostruì la parrocchia, mentre i suoi discendenti avranno il titolo di baroni di Chateauneuf (11).

I Dematteis

Un'altra importante famiglia delle Valli di Lanzo che si ricorda che si trasferì da Averole a Balme sono i Dematteis, discendenti di Matteo di Bessans, trasferitosi nel '300 nelle nostre valli.
A differenza di questi due casi che ebbero successo, nel corso del '700 la prosperità mineraria delle Valle di Lanzo cessò e l'attività mineraria venne in gran parte abbandonata, obbligando la popolazione locale a emigrare o a svolgere un arrischiato contrabbando con la vicina Savoia.


Note

(1) Quest'ultimo valico è oggi accessibile dal versante italiano con attrezzatura alpinistica, presentandosi con un lungo e ripido canalone ghiacciato, mentre sul versante francese è raggiunto dal vasto ghiacciaio Sources de l'Arc. Evidentemente un tempo il Col Girand doveva essere di transito alquanto più facile che ai giorni nostri, confermando così l'ipotesi di una migliore praticabilità dei valichi alpini nel Medioevo (1000-1300). Gli studiosi affermano che questo periodo sia stato eccezionalmente favorevole dal punto di vista climatico. Ezio Sesia, "Calcant e Péra Cagni o valont più che Fransi e Spagni." 700 anni di attività mineraria nelle Valli di Lanzo.

 

(2) Con il termine bombarda si indica un cannone per l'assedio delle fortezze, con un tiro simile al moderno mortaio che lanciava palle di pietra o in ferro.

 

 

(3) Nel 1527 tra il Sovrano e Giocchino Sckroeter, mastro e procuratore generale di tutte le miniere, si legge al punto 4 della concessione delle miniere delle Valli di Lanzo chiamate Dupoil de la Rambaise: "L'obbligava a rimettere a proprie spese alla zecca tutto il prodotto di fino ingiungendovi sotto la pena di disgrazia, di confiscazione e di perdita delle miniere se venisse ad estrarsene". (Archivio di Stato, Sez. Riunite, 2° Archiviazione, Capo 20, Mazzo 12, Azienda Generale Finanze, pag. 76).

 

(4) In Val di Lanzo dove si fondevano le sabbie di ferro, con grave dispendio ne carboni che costavano lire 3 la soma, che anche della molteplicità delle fucine si ricavavano 40.000 rubbi annui" (Archivio di Stato, Sez. Riunite, 20 Archiviazione, Capo 20, Mazzo 12, Azienda Generale Finanze, pag. 92). Altri documenti descrivono le miniere del Turione e dell'Argentiera di Allenboug (A.S.R. Finanze, c. 20, n. 12, Miniere, 82).

 

(5) L'unità di misura era la tesa "dimensione conforme si ritrova la larghezza della porta della chiesa parrocchiale della banda di fuori da una carra all'altra di detta porta". Alla miniera Rambasa, sfruttata fino al 1664, le gallerie dovevano essere di m 1,37 di altezza per m 1,03 di larghezza ed in una decina d'anni vennero scavati circa 100 m di galleria (Luigi Clavarino, Saggio di corografia statistica e storica delle Valli di Lanzo, Torino 1867, pag. 115-116).

 

(6) Nella zona di Lanzo e Germagnano il carbone di legna per i forni e le fucine si produceva solo con i castagni, per salvaguardare le altre piante di alto fusto; inoltre, era proibito l'abbattimento di piante nelle zone di Monte Basso e di Monte Rascacio (E. Sesia, Calcant e Pera Cagni o valont più che fransi e Spagni).

 

(7) Grida: sono le norme emanate dal principe che venivano diffuse tra la popolazione a voce tramite un messaggero incaricato di andare tra i borghi a divulgare la parola del Signore, in quanto nel Medioevo la maggioranza della gente non sapeva né leggere né scrivere.

 

(8) S. Solero, Ceres e la Valle d'Ala di Stura, in Storia onomastica delle Valli di Lanzo, Vol. 1, Società Storica delle Valli di Lanzo, Torino 1955.

 

 

(9) Si veda in proposito R. Cerri, Minatori e fonditori di Postua nelle Valli di Lanzo sul finire del XIV secolo, Società Storica delle Valli di Lanzo, Lanzo Torinese 1992.

 

 

(10) S. Solero, Ceres e la Valle d'Ala di Stura, in Storia onomastica delle Valli di Lanzo, Vol. 1, Società Storica delle Valli di Lanzo, Torino 1955.

 

 


(11)
G. Inaudi, Con i Castagneri, dinastia di "ferro". Da più di 6 secoli fabbri e fonditori, in "Il Risveglio", 4 agosto 1994.

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