Sentiero Pian d'le Masche
Percorso non privo di difficoltà, data la lunghezza complessiva, che percorre antiche mulattiere tra prati e fitti boschi.
Comune: | Ala di Stura |
Zona: | Valle d'Ala |
Località di partenza: | Martassina (1209 m) |
Località di arrivo: | Ala di Stura (1075 m) |
Difficoltà: | E (Escursionistico) |
Tempo di percorrenza: | 3 h 30 min |
Segnavia: | 236 + 236B + 238 + 238A + 240 |
Periodo consigliato: | Marzo - Novembre |
Dislivello in salita: | 640 m |
Dislivello in discesa: | 770 m |
Capriolo
Itinerario:
Salire al Laietto (1519 m) per la strada sterrata, poco oltre il Santuario di Martassina e avviarsi per il sentiero diretto all’alpeggio La Tea (1520 m); il percorso transita a monte delle baite, continua nel bosco, e, con qualche saliscendi, sbuca nel pianoro di Pian Fè (1489 m). Procedere seguendo la traccia che si infila nella boscaglia; poco più avanti si incontrano i ruderi dell’Alpe Picot (1503 m), si passano due piccoli ruscelli e quindi ci si abbassa di un centinaio di metri fino ad una piccola radura. Da qui, in circa venti minuti, si raggiunge Pian d’Attia (1382 m). Costeggiare i prati a valle delle baite e, ignorata la strada sterrata per Ala di Stura. Continuare diritto imboccando il sentiero che si addentra nella vegetazione; guadare un piccolo rio e proseguire in leggera discesa verso le costruzioni di Cà Boin (1246 m). Dalle case scendere per il sentiero fino alla via Pian del Tetto; attraversare la strada asfaltata e servirsi della bella mulattiera che ha inizio sul lato opposto per arrivare alla Piazza Centrale di Ala di Stura.
La radura di Pian Fè
La storia di Pian Fè e del Pian d'le Masche
In tutto l’arco alpino occidentale sono presenti diverse località chiamate Pian Fè o Pian d'le Masche, il cui significato è Piano delle Fate o Piano delle Streghe, e la cui origine è da ricercare nelle numerose credenze popolari piemontesi che abbondano di masche, le donne, apparentemente normali ma dotate di facoltà sovrannaturali tramandate da madre in figlia o da nonna a nipote.
Nel caso della soleggiata e ampia radura situata a monte dell’abitato di Ala di Stura, si è soliti attribuire la provenienza del nome alla leggenda che racconta la storia di un ragazzo di bassa valle innamoratosi di una fanciulla del posto. Dopo essersi fidanzati, la giovine impose una regola al suo amato: lui non doveva andarla a trovare il venerdì. Benchè non gli avesse fornito alcuna spiegazione, per un po’ di tempo il giovane rispettò il dettame. Poi, incuriositosi, un venerdì sera decise di contravvenire alla disposizione ricevuta e si recò da lei.
Alpe Pian Fè
Giunto nei pressi dell’abitazione sbirciò dalla finestra e la scorse che si preparava per andare a letto. La ragazza si lavò le mani, poi si unse alcune parti del corpo con una strana crema, indossò una camicia da notte bianca, si sedette su una sedia a dondolo e, dopo essersi lasciata oscillare per alcuni istanti, svanì nel nulla. Il fidanzato rimase senza fiato per lo stupore. Dopo essersi ripreso, entrò nella stanza e ripetè le stesse azioni osservate di nascosto poco prima. Sparì anche lui. D’improvviso si ritrovò al Pian dle Masche, una radura nei pressi di Pian Fè, dove vide un grande fuoco al centro del prato attorno al quale la sua bella danzava con altre giovani fanciulle della valle; fissando attentamente lo spettacolo che si presentava ai suoi occhi, notò che con loro c’era una figura con le sembianze del diavolo.
Il ragazzo spaventato cercò di fuggire e ritornare verso casa, ma ci mise tutta la notte perché le radici e i rami degli alberi lo trattenevano rallentandone il passo, più lui cercava di correre, più loro cercavano di bloccarlo. Da quella sera il ragazzo non andò mai più a far visita alla sua morosa di venerdì. La leggenda appena narrata, insieme a tanti altri racconti valligiani, rivive nel film Ego sum Stria (2007) del regista Pier Carlo Sala che proprio sulla spianata di Pian d'le Masche ambienta la danza delle giovinette attorno al fuoco.
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Sentiero del cacciatore
Questo sentiero, che si sviluppa nell’alta valle d’Ala, ha un percorso decisamente ripido fino al famoso Pian Saulera, luogo meta dell’incontro tra il camoscio-diavolo e il cacciatore. Proseguendo dopo l’alpe si può raggiungere il colle delle Mangioire con un crescendo di difficoltà.
Comune: | Balme |
Zona: | Pian della Mussa (Val d'Ala) |
Località di partenza: | Grange della Mussa (1764 m) |
Località di arrivo: | Alpeggio Pian Saulera (2098 m) |
Difficoltà: | E (Escursionistico) |
Tempo di percorrenza: | 1 h 15 min |
Segnavia: | 218 |
Periodo consigliato: | Giugno - Settembre |
Dislivello: | 340 m |
Itinerario:
Pian Saulera con la Rocca Tovo
La partenza avviene a metà del Pian della Mussa, raggiungibile con una carrozzabile che viene aperta nei mesi estivi, nel periodo invernale è usata come pista di sci di fondo. Si posteggia nell'ampio piazzale di fronte al caratteristico bar Bricco nei pressi delle “Grange della Mussa” 1764 m, la Stura la si attraversa su un ponte di legno nelle vicinanze della caratteristica Villa Sigismondi. Il sentiero sale a sinistra prima per un pendio erboso poi continua in mezzo a fittissimi cespugli, questo tratto è poco agevole, fino a raggiungere una ampia radura erbosa, ricca di sorgenti dove si trovano le costruzioni dell'Alpe Saulera 2098 m (h 1,15) la nostra meta. É consigliabile proseguire l'escursione fino al passo delle Mangioire 2765 m dove si può scorgere la diga del lago della Rossa. Superati gli alpeggi della Saulera il sentiero prosegue nel centro del vallone, prima a destra e poi a sinistra del ruscello fino a raggiungere il Pian degli Alamanni mt 2400, prosegue ora decisamente più ripido fino a raggiungere una gola che si diparte dallo stretto e caratteristico Passo delle Mangioire 2765 m h 3'10 dal posteggio.
Leggenda del cacciatore di camosci
Alpe Saulera
Arrivando a Balme, lo sguardo passa con ammirazione da una vetta all’altra, si sofferma sulla maestosa parete rocciosa dell’Uja di Mondrone, poi scende sul paese, antico, case in pietra, tetti in losa e sulla vecchia chiesa, sul cui muro esterno si trova un bell’affresco.
Si racconta che intorno al 1700, al miglior cacciatore di camosci, Battista Bogiatti di Balme, sia successo un fatto strano, molto strano.
Un giorno, egli scendeva dall’Alpe Saulera verso il Pian della Mussa, da solo, senza fucile, a passo svelto, pensando alla sua casa, al suo borgo, mentre una nebbia leggera saliva dal corso della Stura. Quando all’improvviso vede sul ripido sentiero un camoscio, immobile, che lo fissava. Al cacciatore pareva impossibile che il camoscio restasse li fermo, non accennasse a fuggire, nonostante il vento portasse alla bestia l’odore dell’uomo. Indispettito perché non aveva con sé il fucile, prese un sasso e lo scagliò con veemenza nella direzione del camoscio; l’animale rimase immobile, come in segno di sfida. Il cacciatore riprese il cammino, ma poco dopo rieccolo davanti a lui, su un masso, immobile a guardarlo. Il cacciatore pensò allora di vendicarsi il giorno dopo, all’alba: sarebbe ritornato in quel luogo col fucile, e per il camoscio non ci sarebbe stato più scampo. Il giorno seguente, che era di domenica, Battista saliva con passo veloce verso il Pian della Mussa, col fucile in spalla, pensando di sbrigare velocemente la faccenda, e rientrare a Balme in tempo per poter assistere all’ultima messa, che come di consueto si diceva alle 10. Era l'alba, il cacciatore si guardava attorno e… Eccolo il camoscio, su un masso fermo, immobile, con gli occhi di fuoco a fissarlo. Il miglior calciatore della Valle rise in cuore suo: tra poco il camoscio impertinente sarebbe stramazzato a terra, morto. Prese la mira e sparò. Sorpresa, il camoscio non solo pareva non ferito, ma saltellava da una roccia all’altra e pareva farsi beffe di lui.
Il Pian della Mussa in inverno
Il cacciatore, imbufalito, cominciò a corrergli dietro arrampicandosi sui massi, attaccandosi ai cespugli, inerpicandosi su pendii sempre più ripidi e rischiosi, senza curarsi dei pericoli dei burroni; sparò un secondo colpo, ma tutto era inutile. Il camoscio saltellava beffardo di qui e di là.
Il cacciatore era quasi uscito di senno, pensò addirittura di prenderlo con le mani e dilaniarlo. Intanto il tempo passava; il cacciatore, non avendo con sé l’orologio, si fermò un attimo, e si guardò attorno, per cercare di capire che ora fosse dalla posizione del sole. Pensò alla messa, al suo dovere di buon cristiano, valutò che c’era ancora il tempo necessario per portare a termine la “sua caccia”. E riprese l’inseguimento. Ad un certo punto il camoscio e il cacciatore si trovarono su un ghiacciaio. Il camoscio si fermò vicino ad un pauroso crepaccio. Il cacciatore si fermò anch’egli, ricaricò il fucile e sparò. Un grido di gioia riecheggiò per tutta la Valle, il camoscio era morto e il suo sangue macchiava di rosso il ghiaccio circostante. Il cacciatore, inebriato dalla gioia, si caricò sulle spalle la bestia e scelse la via più breve per fare rientro al suo paese. Ma dopo poco si accorse che il sole splendeva alto in cielo, facendo luccicare il ghiacciaio, e ricordando anche a Battista che l’ultima messa a Balme era finita da un pezzo!
Alpe Saulera
Combattuto tra la gioia della vittoria, per aver abbattuto finalmente il “suo nemico” e l’umiliazione di non essere presente alla messa, il cacciatore scendeva con sempre maggior fatica. Pareva che il peso del camoscio aumentasse ad ogni passo. Finalmente raggiunse il Pian della Mussa, stanchissimo, sudato, confuso. Buttò il camoscio a terra e con ira gridò “sei pesante come il Diavolo!”. In quel momento avvenne un fatto inspiegabile: il camoscio si rianimò, e fissandolo con occhi di fuoco, si rivelò al cacciatore: “hai ragione perché sono realmente il Diavolo, tu mi hai portato via, ora tocca a me portarti via”.
Il cacciatore sì sentì perduto, non aveva neanche fatto il suo dovere di cristiano, non aveva preso messa, ma lui era fervente devoto di San Giorgio: si inginocchiò, pregò il Santo di proteggerlo, in compenso lui, Battista Bogiatti, avrebbe fatto dipingere sulla parete esterna della chiesa di Balme, un affresco che ricostruisse l’accaduto. La leggenda non narra che fine abbia fatto il camoscio-diavolo. Racconta che Battista, salvo ma impaurito, fece ritorno Balme, ringraziando con tutto il cuore San Giorgio.
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Sentiero Roc d'le Masche
Questo breve sentiero, con salita facile, attraverso un fitto bosco raggiunge questo caratteristico luogo dove vi è un grande roccione squadrato su cui la leggenda vuole che le streghe si trovassero per danzare…
Comune: | Chialamberto |
Zona: | Val Grande |
Località di partenza: | Vonzo (1232 m) |
Località di arrivo: | Roc d'le Masche (1570 m) |
Difficoltà: | E (Escursionistico) |
Tempo di percorrenza: | 45 min |
Segnavia: | 326 + 326B |
Periodo consigliato: | Aprile - Ottobre |
Dislivello: | 340 m |
Itinerario:
Alpeggio Prajas
Poco prima di Chialamberto si devia a destra e si raggiunge con una stretta strada, ma ben asfaltata, il caratteristico paesino di Vonzo. Si posteggia la macchina nella piazza vicino alla chiesa e si imbocca il sentiero che conduce al Santuario Mariano della “Madonna del Ciavanis”. Dopo 20 minuti di marcia si raggiunge un alpeggio, il Praias, lo si supera e poco dopo vedi cartelli indicatori, si svolta a sinistra, abbandonando il sentiero che porta al Santuario. Ora il sentiero si inerpica sulle pendici che scendono dal Roc D'le Masche, con ampi tornanti. Pian piano il bosco si dirada e si giunge ad una balza rocciosa, punto panoramico. Poco dopo si arriva ai prati dove si trova il Roc D'le Masche, dove si è ricavato un caratteristico alpeggio usando il riparo naturale formato dal masso stesso (La Balma).
Vonzo e la sua leggenda
Sulla montagna sopra a Chialamberto c'è Vonzo, dove si trova la “Balma” delle fate ed è doverosa andarla a vedere: la fatica è compensata dalla vista di un paesaggio bellissimo che abbraccia parte della Val Grande, da Santa Cristina fino a Groscavallo e Forno e i ghiacciai delle Levanne.
Ballo delle "Masche"
A Vonzo non vi è più nulla che possa ricordare la città: case in pietra e legno, scalette fatte con sassi ammucchiati, mentre la montagna sovrastante è coltivata fin quasi alla cima. Si scorgono campi di segale e di patate e macchie di alberi alti e poderosi e, verso il villaggio, pascoli grandi e verdissimi. E proprio qui, a poca distanza dal paese, c'è la “Balma” di Vonzo, una grande rupe con la sua leggenda. La data in cui si svolgono i fatti non è precisata, ma senz'altro è posteriore al 1378, anno in cui la Castellania di Lanzo impose un dazio sul vino per costruire il Ponte sulla Stura, conosciuto come “Ponte del Diavolo”. Stava sciogliendosi la neve sul vasto pianoro di Vonzo e le fate si preparavano per la gran festa di primavera. Ballarono pazzamente per tante e tante notti, finchè stanche, una notte si riunirono sulle cime dei faggi per decidere di cambiare divertimento. Quella notte era tiepida, la luna splendente illuminava i ghiacciai del fondo valle. Alle fate venne una strana idea: portare lontano la “Balma” di Vonzo. La rupe era molto pesante e faticarono non poco ad alzarla, chi facendo forza con le mani, chi con le braccia, chi con la testa, tutte insieme finalmente la tirarono su. Mentre tutti dormivano, persino gli orsi e le marmotte, le fate si alzarono in volo con l'enorme fardello e presero la direzione di Lanzo. Lasciarono a destra la punta ora chiamata Santa Cristina, superarono Ceres, Pessinetto, Mezzenile con le sue fucine, Traves, passarono accanto al Monte Bastia, ove allora non sorgeva ancora il Santuario di Sant' Ignazio, sorvolarono Germagnano e finalmente raggiunsero Lanzo. La meta era vicina. Un ultimo sforzo ed ecco il ponte del Diavolo, un arco ardito tra due pareti di roccia. Il loro desiderio stava per avverarsi: mettere sopra il Ponte la “Balma” quella notte stessa e poi, il giorno seguente, dall'alto del Montebasso vedere tutta la gente di Lanzo che accorreva, stupita ed incredula, a vedere il prodigio, anche il Castellano, gli Ufficiali, i soldati, le milizie ed il clero, insomma proprio tutti. Ma ecco che mentre le fate si abbassavano con il loro fardello verso il ponte, all'improvviso a metà del ponte apparire il diavolo, avvolto da un mantello di fiamme, furioso. Egli non voleva che le inquiete fate della Val Grande, per soddisfare un loro capriccio, recassero danno al ponte e sfogò tutta la sua rabbia battendo il piede sopra una pietra e lasciando così un'impronta indelebile.
L'ingresso della balma
E poi il masso era così grande che neanche passava tra le due rocce sulle quali era ancorato il ponte. Umiliate, tremanti e spaventate le fate si fermarono; capirono subito che l'unica soluzione possibile era riportare indietro, al proprio posto la “Balma” e che dovevano farlo entro l'alba. Si rimisero in volo, il peso era diventato insopportabile, le fate dovettero raddoppiare gli sforzi: le mani, le teste affondavano dentro la roccia, che supplizio! Alla fine tra lamenti e gemiti ricollocarono la “Balma” al proprio posto. Il giorno dopo a Vonzo i pastori si interrogavano l'un l'altro sui lamenti sentiti durante la notte. Non sapevano darsi una spiegazione, tutto sembrava a posto eppure nella notte che trambusto! Solo al pomeriggio si accorsero che la “Balma” aveva degli strani segni, impronte di mani, di teste scavate, come per magia, nella dura roccia. La notizia si sparse per tutta la valle, arrivò fino a Lemie, in Val di Viù. Nessuno riusciva a capire come e perchè vi fossero quelle strane impronte. Alla fine una vecchia strega, proprio di Lemie, raccontò del doloroso viaggio delle fate e così tutti poterono conoscere la leggenda della “Balma” di Vonzo.
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Sentiero del Pian dei Morti
Percorso estremamente lungo, che permette però di osservare tutti gli aspetti della montagna: il bosco, i prati che diventano pascolo, e sino all’impervia zona rocciosa. La meta è oltre il colle della Crocetta nel versante della valle dell’Orco, ove, si narra di una colossale rissa tra gli abitanti di Groscavallo e Ceresole.
Comune: | Groscavallo |
Zona: | Val Grande |
Località di partenza: | Rivotti (1452 m) |
Località di arrivo: | Pian dei Morti (2536 m) |
Difficoltà: | EE (Escursionismo difficile) |
Tempo di percorrenza: | 3 h 45 min |
Segnavia: | 321 + 520 |
Periodo consigliato: | Luglio - Settembre |
Dislivello in salita: | 1580 m |
Dislivello in discesa: | 300 m |
Il colle della Crocetta
Itinerario:
Si raggiunge la borgata Rivotti 1452 m con una strada asfaltata che parte a destra delle ultime case di Pialpetta.
Nei pressi delle case dei Rivotti sorge isolato in mezzo ai prati un bianco edificio in stile barocco: è la caratteristica chiesetta del borgo, nelle vicinanze vi sono alcune piazzole, a lato della strada, dove si può posteggiare. Si prosegue a piedi, dapprima sulla carrozzabile verso nord-est salendo alle baita del Crest 1533 m, poi lungo un dosso erboso ed infine con percorso quasi pianeggiante si giunge all'Alpe Invers 1647 m. Lungo tutto il percorso si trovano oltre ai segni bianco-rossi, i segnavia del GTA (grande traversata delle alpi) e della Via Alpina in quanto questo sentiero è stato inserito in questi progetti. Superato l'Alpe Invers, la mulattiera sale con alcune risvolte in un bel lariceto poi con un lunghissimo traverso che taglia a mezzacosta, in basso si può vedere il Gias Mazzocco, raggiunge su una balza il Gias di Mezzo 2092 m. La mulattiera si dirige verso est portandosi sul bordo destro del vallone (NB sinistra idrografica), passando nelle vicinanze del Gias del Burich per poi giungere al Gias Nuovo 2339 m. Si continua sulla sinistra orografica del vallone sotto una bastionata rocciosa fino a giungere in un pianoro dove si trova il lago della Vercellina 2488 m, incastrato tra le curiose rocce montonate. Il percorso prosegue salendo con alcuni tornanti, sempre sulla sinistra orografica, fino al colle della Crocetta 2641 m, così chiamato per la piccola croce di ferro che vi è stata collocata h 3,10. Dal colle si scende verso Ceresole in uno stretto valloncello con numerosi tornanti fino a giungere al Pian dei Morti 2356 m, dove avvenne questa sanguinosa rissa.
La leggenda del Pian dei Morti:
Il lago di Ceresole dal Pian dei Morti
In Val Grande, da Groscavallo, si sale al colle della Crocetta, a 2641 m e, dopo aver ammirato lo stupendo panorama sul Gran Paradiso, Ciamarella, Bessanese e sul lago di Ceresole, si può scendere attraverso lo stretto intaglio verso la Valle dell’Orco, fino ad incontrare un po’ sotto il colle un altopiano: il Pian dei Morti.
Lì, intorno al 1720-1730, si svolse una tremenda lotta. A quell’epoca tra gli abitanti di Groscavallo-Bonzo e Ceresole non correva buon sangue.
Troppe liti per questioni di proprietà su cappelle e pascoli e le risse durante pubbliche feste avevano creato un odio profondo tra gli abitanti dei tre paesi.
Si racconta che gli abitanti di Bonzo e Ceresole si coalizzarono contro gli abitanti di Groscavallo, ed andarono a rubare le campane della loro parrocchia. Quando il sagrestano andò a tirare le funi per far suonare le campane, si trovò con le funi cadute a terra e, alzando lo sguardo, trovò il campanile vuoto, senza più le campane. La notizia fece velocemente il giro del paese. Gli abitanti si riunirono per discutere dell’accaduto e subito il sospetto cascò sui “nemici”. Vennero notate alcune “tracce”, e si capì che i rapitori delle campane avevano preso la via per Ceresole. Gli uomini del paese si armarono e partirono immediatamente, decisi a raggiungere i loro nemici al più presto, togliere loro, anche con la forza, le campane per rimetterle al loro posto, sul vecchio campanile di Groscavallo. Intanto i rapitori procedevano lentamente, il peso delle campane era notevole e la salita dura. Raggiunto il colle, discesero un pò verso Ceresole e raggiunto l’altopiano posto sotto il colle si fermarono a riposare. Qui furono raggiunti dagli uomini di Groscavallo.
Il Pian dei Morti
Si accese una violenta rissa, una vera e propria battaglia: le campane giacevano lì come abbandonate, perché ai contendenti interessava di più, in quel momento, regolare i conti tra loro. Ci furono parecchi morti da entrambe le parti, molto sangue fu versato, finché gli uomini di Groscavallo ebbero il sopravvento. Quando finalmente ritornò la calma sull’altopiano, gli uomini di Groscavallo presero le campane per riportarle al paese. Fu un ritorno triste, perché molti loro compagni rimasero lassù senza vita. Nei giorni seguenti gli abitanti di Groscavallo salirono mestamente al piano per prendere i morti e dar loro sepoltura in camposanto, non volendo che le loro anime “portassero pena” rimanendo in un luogo non consacrato. Da quel triste giorno quell’altopiano prese il nome di “Pian dei Morti”. Groscavallo volle ricordare l'episodio e sul lato del campanile, rivolto verso la montagna, della chiesa nuova mise un tavolato che chiudeva il vano dietro le campane, ma al tempo stesso serviva anche a rendere più difficoltoso l'asporto delle campane se qualche malintenzionato voleva ripetere l’impresa. E, quando la chiesa fu rifatta, intorno al 1851, gli abitanti di Groscavallo vollero che il tavolato non venisse toccato, e così fu. Ma, per fortuna, dopo tanto odio e tanto sangue versato, la pace tornò sia in Val Grande che in Valle dell’Orco: il tavolato potrà tranquillamente cadere a pezzi, consumato dal vento, pioggia e neve; la sua funzione è terminata, non servirà più, le campane potranno suonare festosamente e far dimenticare questa triste vicenda.
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Sentiero dell'argento di Pera Cagna
Facile percorso, attraverso boschi di faggio, che raggiunge i prati dell'Alpe Trione, al cui inizio vi è questo strano masso che leggenda vuole nascondesse ricche miniere d'argento. Il proseguimento per i laghi e il colle di Trione è più impegnativo e richiede una buona preparazione fisica.
Comune: | Groscavallo |
Zona: | Val Grande |
Località di partenza: | Migliere (1070 m) |
Località di arrivo: | Pera Cagna (1521 m) |
Difficoltà: | E (Escursionistico) - EE (escursionismo difficile) per il Colle del Trione |
Tempo di percorrenza: | 1 h 15 min |
Segnavia: | 305 |
Periodo consigliato: | Giugno - Settembre |
Dislivello: | 450 m |
Il Bec Ceresin
Itinerario:
La partenza avviene dopo la borgata di Migliere: si percorre un tratto di provinciale in direzione di Pialpetta, entrambi frazioni di Groscavallo, fino ad incontrare una stradina che scende verso la Stura. Oltrepassato il ponte mt 1039 sul torrente si imbocca l’evidente mulattiera, cartelli indicatori, che sale in leggera salita in un bellissimo bosco di larici e faggi, superando alcuni valloncelli. Dopo un’ora e un quarto di marcia si arriva ad un vasto pianoro e all’inizio del Piano del Trione: sulla sinistra si trova questa strana roccia la Pera Cagna. Il pianoro è caratterizzato da una bella cascata posta sulla bastionata che chiude il vallone, a destra si scorge invece uno strano monolite, il Bec Ceresin. Si può proseguire il percorso sul sentiero che conduce prima ai Laghi e poi al Passo del Trione, questo tracciato fa parte del GTA (Grande Traversata delle Alpi). Si attraversa il pianoro fino all’Alpe Trione 1649 mt, si sale a sinistra un pendio ricco di vegetazione e si prosegue verso il Gias di Mezzo 1961 mt, tralasciando la diramazione di sinistra che va al Gias Nuovo. Dal Gias di Mezzo si continua sempre nella stessa direzione sud-ovest e dopo 30 minuti si giunge al Gias dei Laghi 2160 m. Il sentiero passa fra i laghi del Trione pressoché in piano per poi inerpicarsi in una piccola gola con strette risvolte ed infine risale il valloncello che scende dal Colle del Trione.
La leggenda della Pera Cagna:
Salendo nella Val Grande, verso Forno, arrivati alla chiesa di Groscavallo, si scorge sulla sinistra una grossa e strana roccia torreggiante, più grossa in alto che in basso. E’ il “Bec Ceresin”, la cui sommità ospita una specie rara: il pinus uncinata. A fianco del Bec si insinua un vallone, celebre per le sue miniere d'argento, ora abbandonate, e per una pietra, la “Pietra Cagna”.
I laghi del Trione
Intorno al 1600, nella zona e precisamente sulle Alpi Cozie, Graie e Pennine spadroneggiava un diavolo molto potente, avendo egli il controllo di tutti i valichi alpini, e potendo contare sull’aiuto di feroci Saraceni. Così, quando gli abitanti di un paese furono “dati al diavolo” perché troppo cattivi e perversi, fu dato l’incarico proprio a questo diavolo di dar loro una tremenda lezione. Naturalmente il diavolo accettò con sommo piacere e subito pensò alla punizione: “porterò un masso immenso e lo scaglierò sul paese. Non solo schiaccerà tutte le case ma le farà pure sprofondare!” Detto fatto. Il diavolo si caricò sulle spalle un masso enorme e con le sue poderose ali si alzò in volo. Il masso aveva al suo interno anche una grossa quantità d’oro. Sorvolò la Levanna, il Col Girard, il ghiacciaio e si stava avvicinando al luogo dove ora si trova il santuario della Madonna di Groscavallo.
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