Roc d'le Masche
Descrizione itinerario
Un tratto del sentiero durante la pulitura
Da Vonzo, presso la piazza superiore del paese, lasciare l’auto e prendere il sentiero che dai prati sale verso il santuario del Ciavanis e l’Uja di Bellavarda (nota nel paese col nome di Uia). Dopo circa 20 minuti di cammino si giunge presso un alpeggio di nome Praïas. Da qui, sul lato occidentale del vallone della Paglia è possibile vedere il profilo squadrato del Roc d’le Masche. Esisteva un tempo un sentiero che dai casolari superiori dell’alpeggio saliva direttamente al masso. Non troppe decine d’anni fa era ancora saltuariamente praticato, ma oggi è arduo trovarne traccia! Il sentiero qui descritto prende invece a salire inizialmente parallelo al vallone. Si individua molto facilmente in quanto, subito oltre il ripiano dell’alpeggio, si stacca una larga mulattiera delimitata da muri di pietra, invasa di arbusti, bassa vegetazione e anche alberi. Dopo una cinquantina di metri il sentiero comincia a salire sulla sinistra, percorrendo alcuni ampi tornanti. Poi riprende parallelo al vallone fino a toccare un sistema di ometti. Questi indicano un bivio. Se si prosegue diritto è possibile ritornare sul sentiero del Ciavanis, nei dintorni dell’acquedotto. Occorre invece portarsi verso sinistra, risalendo il pendio in direzione di un muretto di pietra che indica la partenza di un nuovo sentiero. Questa parte è un po’ delicata in quanto il punto del bivio non è affatto evidente.
Individuato il nuovo sentiero percorrere le sue svolte che salgono sempre più verso l’alto, portandosi ad O (sinistra).
Si arriva sopra una balza rocciosa, una svolta verso destra, poi un’altra balza e infine di nuovo verso sinistra ecco aprirsi i prati che precedono il nostro traguardo.
Si passa vicino ad una pietra, in vista del rettilineo finale in direzione dell’ingresso della Balma, ormai evidente (15-20’ dal Praïas, 35-40’ da Vonzo).
Da notare, durante tutto l’itinerario, numerosi alpeggi diroccati, terrazzamenti e piccole balme, oggi invasi da alberi e bassa vegetazione. Testimoni muti della presenza umana nella montagna dei secoli passati.
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Roc d'le Masche
Le vie di arrampicata
Il Roc d'le Masche è un masso alto circa quindici metri, con salde pareti verticali che offrono buoni spunti di arrampicata. Decenni or sono erano stati attrezzati su due versanti con chiodi e spit, ormai arrugginiti. La pratica del bouldering su questo masso è stata presto abbandonata con la perdita progressiva del sentiero. Questo capitolo è tutto da (ri)scrivere: non si trova traccia dei pionieri iniziali e non ci sono notizie di arrampicatori che abbiano salito il masso in tempi recenti.
Parete Est
Si sviluppa sopra il muro che individua l’ingresso alla balma. Presenti vecchie protezioni artigianali.
Parete Sud
Forse la via più facile, è però protetta molto male, con alcuni vecchi chiodi limitati ai metri finali. Risale l’evidente fessura.
Spigolo Nord Est
È senz’altro la via più elegante, lunga e difficile del masso. Risale il verticale spigolo nord-orientale, che a pochi metri dalla sommità del masso piega a N individuando il contorno di un enorme tetto. È la via protetta meglio, con spit.
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Roc d'le Masche
Le Masche tra leggenda e realtà
Le masche sono presenti in diverse culture delle valli piemontesi. La loro origine è da ricondursi a quella relativa alle streghe. Nelle millenarie culture pre-cristiane di origine celtica e longobarda esistevano radicati elementi magici che condizionavano la gravosa vita della popolazione montanara. Le masche potevano essere donne particolarmente emancipate, che tentavano di elevarsi dal contesto sociale che le privava di molte opportunità, applicando le loro conoscenze nella primitiva medicina e nella vita spirituale. Erano insomma delle druide, sciamane del villaggio. Oppure, più semplicemente, erano donne che si specializzavano nella pratica degli elementi magici e superstiziosi.
Come ancora oggi omeopatia e medicina si mescolano creando spesso confusione e ignoranza nella gente, anche un tempo una masca poteva essere una donna che conosceva le erbe e sapeva preparare infusioni dal sicuro effetto, oppure praticare riti magici e oscure maledizioni. Con la differenza che la scienza era ancora in divenire e il suo confine con la magia molto aleatorio.
Le masche da un lato venivano interpellate dalla gente perché, credendole dotate di poteri magici, avrebbero potuto guarire malanni, allontanare oscuri presagi, difendere da malocchi e dannazioni, propiziare una stagione favorevole. D’altra parte, per via delle loro pratiche, potevano anche venire guardate con sospetto o timore, ed essere accusate di danni e sventure.
Con l’avvento del Cristianesimo questi elementi magici, propri di millenarie culture di origine celtica e longobarda, vennero sfruttati dalla nuova religione per radicarsi con maggiore effetto tra la popolazione, epurandoli dai componenti blasfemi. E fu proprio allora che la paura e la persecuzione delle masche si acuì. Le masche vennero individuate in tutte le donne un po’ diverse, esperte in erbe e pratiche magiche, a volte malate o semplicemente ostili all’omologazione sociale. Le masche, accusate di fare la fisica - una sorta di fattura maligna e pericolosa, una stregoneria, si dovettero sovente nascondere o ritrovare in luoghi di cui la gente portò sempre timore, luoghi già magici o spettrali, di cui si tramandarono fiabe e leggende. Luoghi come il Roc d’le Masche, appunto.
Durante l’Inquisizione la persecuzione delle masche e la paura indotta dalle Istituzioni nei loro confronti raggiunse l’apice. Ci furono esecuzioni e torture, molte donne furono impiccate, decapitate, o arse vive. Per numerose persone fu sufficiente qualche affermazione che potesse destare il sospetto di comportamenti non ortodossi per decretarne la condanna o comunque l’etichettamento di masca.
Sostenuta anche da paure e superstizioni, la religiosità divenne un’ancora solida nella vita della gente. Eccone ad esempio traccia nei numerosi santuari e piloni votivi disseminati un po’ ovunque in montagna. Oltre alla funzione strettamente religiosa servirono per proteggere i viaggiatori dalle minacce incombenti delle masche.
È in questa mescola di credenze, fede e superstizione che si tramandano fiabe e leggende, di tradizione orale, mutevoli negli anni.
Vonzo è un ottimo esempio di questa cultura, ma pochi vecchi rimasti ancora ricordano. Il paese di Vonzo è molto antico. Chi ha occasione di visitare il Museo della Montagna può notare come questo nome compaia in cartine del XIV secolo, quando spesso non è citato nemmeno Chialamberto, che è oggi il centro principale e Comune. Vonzo infatti giace in una conca molto assolata, a circa 1200m di quota e invisibile dalla valle. Sarà per questo, si dice, che qui hanno trovato ospitalità da sempre le genti più perseguitate, in cerca di rifugio. Tra le quali, ovviamente, le vere o presunte masche, protagoniste di numerosi aneddoti e racconti. Eccone alcuni esempi.
Le masche avevano una notte della settimana preferita per uscire e incontrarsi, praticare i loro riti magici e sabbatici. Era quella del venerdì: in questa notte era bene evitare con cura di uscire dai sentieri segnalati, lontano da santuari e luoghi non benedetti. Stesso discorso per la notte fatata del primo novembre, notte in cui le anime dei morti prendevano il volo e le masche si intermediavano con esse, rafforzando il proprio potere. Si usava, prima di andare a dormire, lasciare sul tavolo un piatto colmo di castagne bollite e già pelate, in modo che le anime dei defunti potessero saziarsi compiaciute senza importunare i vivi. Trovarsi da soli la notte del primo novembre nei sentieri tra i boschi che univano i solitari villaggi alpestri poteva davvero essere pericoloso: non erano sufficienti i numerosi piloni votivi e la più ferrea delle fedi per tenere lontani spettri e masche. Una fiaba racconta di una persona che si trovava la notte del primo novembre a dover percorrere da sola il sentiero che collegava Vonzo a Chialamberto. Solamente la difesa di un’anima della propria famiglia, che passava di lì per caso, e qualche preghiera presso i numerosi piloni votivi sui lati del sentiero gli consentiva infine il ritorno a casa, tra innumerevoli sentori di oscure presenze, masche e visioni che si animavano nel bosco durante il viaggio.
C’è da dire che non tutti gli spiriti erano cattivi. Ad esempio, lo spirit-fulét si divertiva a combinare innocui scherzi, come muovere i tetti di lose per non lasciar dormire, imbrattare le maniglie delle porte o i muri di pece. Non era cattivo, se nessuno osava interferire con il suo lavoro, altrimenti…
Le masche invece ogni tanto erano davvero cattive. Si dice che una volta rapirono un bambino di Candiela, e lo portarono in cima ad una acuminata roccia nei ripidi pendii sotto il Soglio (un piccolo insieme di case ad est di Vonzo). Si riunì un gruppo di coraggiosi che tutta la notte seguì le urla del bimbo, senza trovarlo. Solo la mattina dopo, quando la masca svanì, fu possibile individuare la roccia prima occultata da un tenebroso sortilegio. Il bimbo raccontò che tutta la notte una donna vestita di nero, muta, restò con lui regalandogli di tanto in tanto alcune caramelle, per poi sparire sul fare del giorno.
Ma tra le fiabe, la più famosa fu quella che ebbe come oggetto proprio il Roc d’le Masche e il suo magico trasporto fino a Lanzo per soddisfare una bravata ai danni del Diavolo.
Oggi le masche non ci sono più. Gli alpeggi son stati quasi tutti abbandonati e Vonzo è diventato un villaggio turistico. Nessuno si riunisce più nelle stalle la sera per raccontare fiabe, confortevoli carrozzabili uniscono tutti i paesi e gli antichi sentieri non sono più praticati, men che mai di notte. Il Roc d’le Masche è solo più una grossa pietra dai curiosi incavi e dalla mole imponente.
Eppure, ancora oggi, qualcuno giura, il venerdì notte, di aver visto…
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Sentiero Roc d'le Masche
Ingresso della Balma
Passeggiando nei prati di Vonzo verso la strada che scende in direzione del Soglio e dei Castej d’le Rive, è istintivo posare lo sguardo verso N, in direzione del Vallone della Paglia. Si nota assai facilmente, sulla destra idrografica del vallone, un grosso masso squadrato alto al massimo una ventina di metri, posto proprio sul confine tra il bosco e i più alti pascoli. Si tratta del masso noto in zona come il Roc d’le Masche, detto anche Balma d’Vuns (Balma di Vonzo). In italiano è stata preferita la traduzione Balma delle Fate. È curioso come si sia scelto di evitare il più consono termine Masca (ovvero strega), forse per un’impressione più rassicurante. In realtà di masche si è sempre trattato, fin dalla più antica tradizione locale. Anche il termine balma deriva dal locale patuà , e indica un naturale riparo offerto dalla roccia. Ecco così individuati i due elementi caratteristici del nostro masso: il primo è l’alone di fiabe e leggende che lo circondano, il secondo è il curioso ricovero che offre nella sua naturale e generosa cavità. Vediamo meglio queste due caratteristiche, che hanno conferito nei secoli passati una nomea del tutto singolare a questo naturale monumento di roccia.
Salendo ai piedi del grande masso è facile intuire i motivi che lo hanno associato alle masche. Si tratta di una roccia dalla presenza imponente, a forma di parallelepipedo, lungo una trentina di metri e alto una quindicina.
Sul lato settentrionale, verso monte, una stretta e singolare fessura rocciosa lo separa con uno strapiombo dal pendio discendente. Sugli altri lati il masso termina a picco nei prati sottostanti. Sul lato orientale un comodo prato ospita l’accesso al sentiero. Il ripiano superiore del masso, non raggiungibile facilmente, è coperto di bassa vegetazione e erba. L’elemento più pittoresco del macigno riguarda le pareti che sviluppa su tutti e quattro i lati e sul soffitto della balma. Si possono notare tortuose e pronunciate anse, giochi di erosione che si spingono nell’interno della roccia offrendone un aspetto molto particolare e suggestivo.
La parete ovest
La tradizione vuole che queste naturali opere di erosione siano in realtà il segno lasciato dalle masche, che si riunivano abitualmente attorno alla pietra. Una leggenda narra che un tempo la roccia avesse le pareti lisce. Le masche, per far dispetto al Diavolo, avrebbero con un sortilegio staccato dal pendio la grossa pietra – forse un tempo formava un unico promontorio attaccato dal versante settentrionale e la fessura rocciosa sarebbe l’evidente segno del distacco forzato dal pendio? - portandola a valle fino allo stretto che la Stura forma nella zona in cui sorge il ponte del Diavolo, a Lanzo, dove avrebbero voluto depositarla. Qui però il Diavolo, accortosi dell’affronto, avrebbe costretto le masche a riportare sulla schiena la pietra fin nel luogo di origine. Ma non con la magia con la quale avvenne il confortevole viaggio di andata, bensì con il prezzo di un duro lavoro, divenendo la pietra pesantissima! I segni che ancora oggi si notano sulle pareti sarebbero le impronte lasciate dalle schiene delle masche durante il faticoso viaggio di ritorno. Ma non è finita qui. Le masche tornando a monte, esauste di fatica, si resero presto conto di non riuscire a riportare l’enorme masso al suo posto. Così, curandosi di non farsi sorprendere dal diavolo, ruppero una parte della roccia, sul lato meridionale e solo nella parte inferiore della pietra, quella che appoggia a terra. Lasciarono così una cavità, che agevolò il trasporto verso il luogo originario.
Con questo veniamo alla seconda peculiarità del masso, la balma.
La balma è una roccia che individua su più lati una cavità adibita a bivacco d’emergenza o, sovente, anche a cantina. Nel nostro caso la balma è ricavata sul lato sud-orientale della roccia, nei metri finali del suo sviluppo, dove non poggia del tutto a terra. Il riparo è così grande che è stato trasformato in una stalla, chiudendo due lati esterni con un muro di pietra a secco. Una porta di legno, oggi divelta, consente l’ingresso nell’anfratto roccioso dal lato orientale. Anche dentro la balma, sul soffitto roccioso, è possibile osservare i corrugamenti naturali della roccia, simili a quelli che si notano sulle pareti e che tanto hanno suggestionato la fantasia delle persone.
Su questo pittoresco masso sono state aperte anche alcune vie di arrampicata. È difficile reperire documentazione al riguardo, le vie sono abbandonate da decine d’anni e le protezioni (chiodi e spit) ormai deficitarie.
Posa della segnaletica
Le Masche tra leggenda e realtà
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Anello Cates - Coassolo
Itinerario ad anello per footing
Un percorso ad anello per gli appassionati di footing ora è percorribile, si snoda dalla frazione di Cates con breve tratto su sterrato lungo circa 4 km, ottimo per una corsa in gran parte in piano ma utile a ritrovare quella forma fisica ed eliminare quelle tossine accumulate durante l'inverno.
Il sentiero nasce da un progetto realizzato dal Club Alpino Italiano della Sezione di Lanzo e la Scuola Media Statale G. Cena di Lanzo, realizzato grazie l'aiuto del Centro Servizi Didattici e della Cultura della Provincia di Torino.
Tale iniziativa ha visto i ragazzi delle Scuole Medie impegnarsi inizialmente sullo studio della cartografia, con individuazione del vecchio sentiero di collegamento delle Frazione di Cates e la provinciale che porta a Coassolo; successivamente sono state fatte delle lezioni teoriche/pratiche nella scuola a cura dei soci Cai e alcuni insegnanti per illustrare la segnaletica dei sentieri a norma di legge e le varie fasi di fabbricazione dei cartelli.
In una fase successiva i ragazzi si sono recati in loco per contrassegnare il tracciato e stabilire il tipo di cartelli ed il loro contenuto in base alla tipologia del percorso.
Come ultima fase in una giornata con l'aiuto dei soci del Cai si è provveduto alla pulizia dell'intero tratto con la posa dei cartelli a suo tempo definiti.
Il tratto sistemato grazie a questo progetto denominato "adotta un sentiero" chiude un percorso ad anello finalizzato ad un tracciato per il footing, oltre naturalmente adatto a passeggiate lungo il Tessuolo.
La partenza può essere ubicata presso il bivio antistante la chiesetta di S.Anna per poi proseguire sulla strada che attraversa tutta la Frazione di Cates passando dinanzi alla casa di riposo, per giungere poi nella Piazzetta di Case Togliatto, indi percorrere il nuovo tratto ripulito dal Cai Lanzo che fiancheggia il Tessuolo, passato il ponticello si arriva velocemente sulla curva della provinciale che porta a Coassolo, voltato a sinistra si scende al ponte di Coassolo per poi dirigersi in direzione Lanzo percorrendo via Loreto, al primo incrocio deviare a destra per Via Monte Angiolino per arrivare fino ai pressi dell'Ex Fabbricone. Girare quindi a sinistra su via Peroglio per immettersi in via S.Anna per giungere nuovamente all'omonima chiesetta (punto di partenza), Il raccordo denominato Str. Antica di Cates che collega Frazione Cates con Via Monte Angiolino permette ulteriori varianti.
Un po' di storia
Il tratto del sentiero recuperato dal progetto parte dalla Borgata "Case Togliatto" dal nome della prima famiglia che vi insediò; i Togliatti, Togliatto, Togliat o de Toglia sono originari di Monastero come risulta dai documenti della Castellania di Lanzo, 1347-48 Conte Ajmone di Challand.
Prosegue lungo le acque del Tessuolo che venne consentito l'uso fin dal 1661 "per uso civico", Marchese Sigismondo d'Este, confermato nel 1886 con Decreto Prefettizio e nel 1926 dal Ministero dell'Economia per poi diventare nel 1960 riserva di pesca.
La bacheca ubicata
nella frazione Cates
Il sentiero sotto la neve
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