Storia della Miniera Brunetta
Piano inclinato di
servizio
Nelle Valli di Lanzo i giacimenti di talco coprivano buona parte della formazione geologica detta Massiccio ultrabasico di Lanzo, un'area caratterizzata dalla forte presenza di peridotiti e soprattutto di serpentino. Essi si trovavano all'incirca nella zona compresa tra Cantoira e Fiano-Varisella, quest'ultima nella vicina Val Ceronda. Erano comunque minuscoli giacimenti, quasi tutti collocati nella bassa valle e con un difficile accesso e la produzione garantiva un'economia di sussistenza.
I primi impianti erano a cielo aperto - fra questi quelli di Lanzo e degli Oldrì di Viù -; più tardi si passa a coltivazioni in sotterranea, di queste ultime le più importanti erano a Punta Serena presso il Santuario di Sant'Ignazio, a Ovairo di Lanzo e nei pressi dell'Alpe Brunetta, sopra la frazione Vru di Cantoira che è stata la principale miniera attiva nel corso del '900 fino alla fine degli anni '70. I primi tentativi di sfruttamento nella zona della miniera Brunetta risalgono a fine '800 quando il Comune di Monastero di Lanzo accorda il permesso al signor Michele Fornelli Genot, residente nel suddetto comune.
L'attività durò per pochi anni non fornendo risultati apprezzabili. A quel tempo la legislazione mineraria era già abbastanza rigida: coloro che gestivano le cave e le miniere dovevano fornire ogni anno una serie di informazioni all'ingegnere Capo delle Miniere, comprendenti dati sui prodotti e sul personale impiegato. A tal fine, una lettera del Reale Corpo delle Miniere del 1903 imponeva, in osservanza del regolamento di Polizia mineraria, di far pervenire all'ente i nomi delle persone che avevano la responsabilità dei lavori, e quelli degli effettivi esercenti, soprattutto per i casi di infortunio.
Inoltre, i responsabili di cave e miniere non trovati in regola con le suddette denunce venivano sottoposti a contravvenzioni.
La ditta Piton Giovanni
La prima ditta che intraprese dei lavori di scavo in galleria presso l'Alpe Brunetta fu la Ditta Piton Giovanni di Pinerolo che ottenne il permesso di ricerca dal Comune di Monastero di Lanzo nel 1913. Il contratto prevedeva, come stabilito dal Corpo Reale delle Miniere, l'obbligo di scavare almeno una galleria d'accesso nel sottosuolo entro la proprietà comunale e veniva così stabilito: versamento anticipato di L 100 e una cauzione di L 200 e inoltre, un canone annuo di L 25 per i primi 6 anni e fino a che i lavori consistevano in semplici ricerche.
Vista sugli impianti esterni
Aumento di L 50 annue sino al sesto anno d'affitto, dall'anno in cui veniva incontrato l'abbattimento dei massivi o lenti di talco in galleria. Un canone di L 500 annue per gli altri 6 anni di affitto susseguenti al sesto (1).
La Regia Prefettura della Provincia di Torino, Comitato forestale, imponeva come condizione che la ditta provvedesse a trattenere sul posto i materiali di scarto, per evitare che venissero trasportati dal sottostante rio (2). Il permesso di ricerca di talco aveva durata di 12 anni e il titolare doveva impegnarsi a mantenere il buon funzionamento delle acque.
La coltivazione mineraria nel 1919, data della prima mappa rinvenuta, mostra tre gallerie d'accesso poste sulla sinistra idrografica dei rio Brissout.
Queste erano a poca distanza l'una dall'altra e a differenti livelli di scavo. Il trasporto del materiale avveniva per teleferica che era collegata, grazie ad alcune stazioni intermedie, fino alla frazione Villa di Cantoira, dove esisteva un magazzino per il talco (3).
Molti anni dopo, con la ditta Possio venne realizzato un magazzino in cemento armato, posto sulla carrozzabile Ceres-Chialamberto, che aveva una capacità di circa 300 t, con annesso un altro deposito atto a contenere altrettanto minerale e altri locali per servizi vari, come la pesa automezzi, deposito attrezzi ecc.
Il talco veniva lavorato al mulino di Pessinetto, collegato, tramite un raccordo che partiva dalla stazione, alla ferrovia Torino-Ceres.
La ditta E. M. Juvenal
Nel 1920 il permesso di ricerca passava dalla ditta Piton alla ditta E. M. Juvenal di Pinerolo. Alla scadenza della concessione nel 1924, il Comune di Monastero di Lanzo indiceva una gara d'appalto per il rinnovo della stessa, che vedeva la ditta Juvenal aggiudicataria del permesso di ricerca per 10 anni. Il contratto prevedeva un canone annuo d'affitto di L 6.000 e una cauzione di pari importo.
Alcuni anni dopo la Juvenal si trovava in difficoltà economiche a causa di una diminuzione del prezzo del talco grigio di circa il 50%.
Per tale motivo la ditta chiedeva all'ingegnere Capo delle miniere di devolvere la cauzione versata in ottemperanza del contratto a favore del Comune di Monastero di Lanzo, non potendo pagare il canone d'affitto.
Vista la situazione, la Regia Prefettura della Provincia di Torino, sentito il parere del Corpo Reale delle Miniere, stabiliva che tale cava non poteva essere coltivata con profitto essendo ubicata in posizione svantaggiosa (a quota 1560 m) e distante.
A tal proposito venne fatta un'attenta analisi della situazione, paragonandola con quella della ditta Possio: "dalle miniere di talco grigio della ditta Possio, p.e. quella di Funghera (Germagnano) è ubicata a 525 s.l.m. (cosicché vi si può lavorare tutto l'anno) ed è posta si può dire, direttamente sullo stradone (risparmiando così il trasporto in teleferica) e dista km 5 dal molino di Lanzo.
La stessa ditta Possio possiede la miniera Cucuc (Viù) a quota 741 sul mare, posta pure quasi sullo stradone, ma dista sui 15 chilometri dal molino di Lanzo; dato il trasporto attuale gravoso ed i prezzi bassissimi, la ditta non lavora a Cucuc.
Il prezzo del talco grigio (come quello in questione) macinato si aggira ora sulle L 60-75 la tonnellata (sacco da rendere) posta su vagone Pessinetto-Lanzo.
Non vi è probabilità che i prezzi attuali tendano a rialzarsi nei prossimi anni". Inoltre veniva fatto presente che "con R.D. 29 luglio 1927 N. 1443, il talco, in forza dell'art.2 a linea a) non è più oggetto di cava, ma di miniera, cosicché ne dispone lo Stato" (4).
Stazione di partenza della
teleferica
La Regia Prefettura escludeva, anche senza sopralluogo, che la miniera fosse esaurita, avendo il cavalier Juvenal fatto domanda al Ministero per una nuova concessione il che dimostrava l'interesse a sfruttare la cava (5).
Pertanto, la Prefettura acconsentiva a una equa riduzione del canone di affitto pari al 50% dell'importo corrisposto, a partire dall'8 aprile 1931, ma non alla risoluzione del contratto che avrebbe causato al Comune un danno troppo grave. Successivamente, il podestà di Monastero di Lanzo acconsentiva allo svincolo della cauzione versata dalla ditta E. M. Juvenal a favore dello stesso Comune, a saldo delle annualità dovute per il 1934 e il 1935. Inoltre, accoglieva la domanda della ditta di risoluzione del contratto alla scadenza, avendo la stessa ottenuto un'altra concessione, per 20 anni, dal competente Ministero delle Corporazioni con Decreto 12/10/1931.
Nel periodo fascista si nota una certa attenzione a favore del settore minerario, ritenuto uno dei cardini dell'industria nazionale. Significativa una lettera al Comune di Monastero di Lanzo dell'Unione Provinciale Fascista dei Lavoratori dell'industria in cui veniva richiesta una relazione sull'esistenza di concessioni minerarie abbandonate, non sfruttate, nonché in attività.
Per ogni tipo di giacimento si doveva specificare: 1) la data di abbandono o di sospensione della concessione, 2) il motivo per il quale era stato abbandonato o soppresso il lavoro di sfruttamento e 3) il numero approssimativo degli operai che avrebbero potuto trovare lavoro nelle concessioni.
Durante il Fascismo chi lavorava nelle miniere non prestava il servizio militare e per questo motivo chi faceva questo mestiere non e andato in guerra. In quel periodo gli addetti erano praticamente il doppio del normale. Si cercava di sondare il suolo in altre località delle Valli di Lanzo in modo da impiegare più gente possibile" (testimonianza di Piero Possio).
Gli anni 40
Il 26 gennaio 1943, dopo la morte di Juvenal, gli eredi scrivevano al Ministero delle Corporazioni di rinunciare alla concessione Brunetta a favore dei fratelli Possio di Lanzo Torinese. Il Corpo Reale delle Miniere concedeva alla ditta Possio il permesso di ricerca in detta località e nel 1951 acconsentiva all'ampliamento della concessione, come richiesto dalla stessa ditta, portandola da 227 a 446 ettari sui territori dei comuni di Monastero e di Cantoira(6).
Verso la fine degli anni '40 iniziò un graduale processo di rinnovamento e ampliamento degli impianti. Vennero abbandonate le vecchie gallerie sulla sinistra del rio Brissout e venne realizzata un'unica galleria d'accesso al giacimento, sulla sponda opposta, a un livello inferiore di alcune decine di metri a quelle preesistenti. In quelle vecchie gallerie poste a quota 1527 e 1524 m era stato seguito il filone di talco rispettivamente per 130 m e 120 m, con modesti ingrossamenti a intervalli pressoché costanti (7). Nella nuova galleria a livello inferiore, il cui imbocco è a 1505 m, il filone si presentava in maggiore quantità, sia in potenza che direzione. Nell'impianto lavoravano 12 minatori (prima della guerra non si hanno notizie sul numero degli occupati), che giornalmente salivano a piedi dalla frazione Vrù alla cava: poco più di un'ora di cammino su mulattiera, ma un percorso decisamente ripido e faticoso.
L'ingresso della galleria
principale (Ribassa)
Nella miniera si lavorava tutto l'anno, anche d'inverno, salvo brevissime interruzioni in caso di eccezionali nevicate (informazioni cortesemente fornite dal signor Giovanni Berta, che lavorò per 40 anni in queste miniere). Vi erano comunque delle baracche che fungevano da riparo per i minatori quando la neve impediva loro di scendere e, in tal caso, fungevano anche da dormitori. "Gli operai venivano pagati due volte l'anno, alla fiera di maggio e di settembre. Fino a metà degli anni '60 non vi era la strada per Vru e in occasione della fiera due o tre minatori scendevano a Cantoira a prendere lo stipendio per tutti e per i mesi interessati. Alla miniera vi era un sovrintendente, ma i minatori erano abbastanza autonomi sul come produrre.
Veniva loro richiesto un certo quantitativo di materiale al mese e non interessava esattamente quanto si lavorava al giorno" (testimonianza del signor Piero Possio). Le norme di sicurezza di allora non erano certo così severe come le attuali, cosa che, sommata alla scarsa stabilità della roccia talcosa, esponeva continuamente i minatori a seri rischi di infortuni.
L'attività venne anche colpita da gravi incidenti. Il più tragico fu quello del giugno 1955 che causò la morte del minatore Luigi Berta di Vru, poco più che trentenne, colpito da un blocco che si staccò dalla volta della galleria.
Nonostante ciò i lavori continuarono e dal 1956 vennero anche compiuti degli scavi di ricerca in altre località che proseguirono per alcuni anni.
Il rinnovamento degli impianti
Nel 1960, nella relazione per il Corpo delle Miniere venne riportata la situazione di quelle ricerche.
"Pian della Rusa. Appare che dal 1955 i cameroni nei quali si era prescritto di non più lavorare, sono stati abbandonati e chiuso il relativo accesso. La futura galleria di ribasso progettata dall'ingegnere Enria non è ancora stata iniziata, si dovrà prima impiantare un compressore essendo insufficiente quello installato. In regione Cugni i lavori di ricerca sono proseguiti in modo soddisfacente per cui si unisce alla presente un piano dei lavori a tutto il 31/12/1960". Per insufficienza di mano d'opera ed anche perché il filone ivi coltivato è alquanto ristretto, a tutt'oggi non si è più lavorato". Nel 1960 lo sviluppo dei lavori era ancora modesto, tanto che non c'erano depositi di esplosivo, ventilatori impianti meccanici e linee elettriche. In quello stesso anno venne dato l'incarico all'ingegnere Tommaso Enria di Torino di provvedere all'ammodernamento dell'impianto. L'ingegnere progettò una galleria di ribasso con fornelli fino a 15 m di altezza, intervallati tra di loro di 40 m circa, eseguiti di preferenza dove il filone era meno potente. Si prevedeva di tenere aperte tre o quattro camere, disposte tra un fornello e l'altro, lasciando 10 m circa di pilastro a protezione del fornello (8). Nell'anno seguente si ebbe la costruzione di un fabbricato in pietra e coperto in cemento armato di 30 m2 circa, per eseguire l'impianto di aria compressa.
Il lavoro di ammodernamento proseguì con l'acquisto di un locomotore che entrò in funzione nel 1964. Venne scelto un mezzo piccolo, adatto al lavoro in montagna, atto a trainare i vagoncini posti su una ferrovia decauville per il trasporto del minerale dalla galleria alla vicina stazione di partenza della teleferica.
La ditta Possio acquistò il locomotore elettrico T25, ridotto 500 mm (9), della ditta EMAM di Segrate (MI), già fornitrice di parecchi locomotori alla Fiat per le miniere di Traversella. Inoltre veniva fornito con tettoia di protezione per il conducente e senza piattaforma ribaltabile (a differenza di quelli di Traversella che ce l'avevano, ma non erano più in produzione). Nel 1967 venne costruito un edificio in cemento armato, suddiviso in tre locali, che venne utilizzato per dare riparo al locomotore, come deposito per il gruppo elettrogeno e il compressore, come refettorio per i minatori.
Nella relazione illustrativa sullo stato dei lavori per la domanda di concessione, nella seconda metà degli anni sessanta, si evidenziavano le quantità di talco che si prevedeva di estrarre sulla base delle ricerche e dei lavori condotti.
Al Pian della Rusa si erano rilevati tre ingrossamenti del filone per complessivi 5300 m3. In base ai lavori di ricerca eseguiti si poteva desumere un quantitativo uguale a quello messo in vista, pertanto la cubatura di questa sezione era di circa 30.000 t, come minerale possibile.
In località Cugni i lavori avevano avuto uno sviluppo di circa 360 m, con due gallerie poste a quota 1660 m e 1670 m, collegate per mezzo di una galleria di rimonta. Anche qui il talco si presentava di colore grigio chiaro, ma con un netto miglioramento della qualità.
In località Vasivera sud erano stati messi in evidenza quattro affioramenti a una quota di 1650 m (10).
Le difficoltà
Martello pneumatico usato
negli scavi
A causa delle condizioni morfologiche del territorio che rendevano il sito particolarmente disagevole da raggiungere, i lavori erano proseguiti a rilento. Non erano stati eseguiti lavori di più ampio respiro considerando l'enorme difficoltà che si frapponeva all'installazione di macchinari tali da consentire una esplorazione completa della zona. Veniva constatato che i lavori dovevano proseguire, con un'adeguata meccanizzazione, non appena ultimata la strada che doveva raggiungere il Santuario di Marsaglia, a circa un chilometro dagli scavi.
Nonostante alcuni incidenti di percorso, come quello del 1967 in cui il locomotore cadde in un burrone e i cassoni delle batterie si staccarono andando completamente distrutti, alla fine degli anni '60 la produzione passava da 1000 t annue a 2000 t nel 1970. Tuttavia, già in quell'anno, si registravano degli aumenti di costo con rilevanti difficoltà di vendita di questo tipo di talco per usi tecnici. In primo luogo la ditta Possio cercò di superare quelle difficoltà riducendo, ove possibile, i costi di macinazione.
Un'altra iniziativa intrapresa per ridurre i costi di trasporto fu quella di contribuire alla costruzione della strada che dalla frazione Chiaves di Monastero di Lanzo sale verso Menulla, in prossimità della zona Rivet e Cugi.
A metà degli anni '70 si presentò un altro problema: i concorrenti sul mercato si rafforzavano con la vendita di prodotti similari a bassissimo costo. Infatti, nel 1975, la vendita diminuiva del 50% rispetto all'anno precedente e non venivano previsti investimenti di rilievo per il 1976. Pertanto, i lavori si limitarono a seguire i filoni sfruttati negli ultimi anni e a eseguire opere di ordinaria manutenzione alla galleria, alla teleferica e alla strada di accesso sul versante Chiaves-Menulla.
La produzione prevista scendeva al livello della fine degli anni '60, ossia sulle 1000 t annue. Pochi anni dopo, vista la situazione economica ormai non più sostenibile e le nuove normative, la ditta Possio chiuse l'impianto. Con la svendita della miniera vennero pagate le liquidazioni agli operai che andarono così in pensione. La chiusura dell'attività alla miniera dell'Alpe Brunetta pose fine all'estrazione del talco in Val di Lanzo.
Note
(1) Corpo Reale delle Miniere Distretto di Torino protocollo n.2930 del 21/11/1912
(2) Giovanni Piton, titolare del permesso di ricerca, doveva "costruire due briglie di trattenuta sul rio, una subito a valle dell'apertura della galleria ed una seconda ad una insenatura a valle della cava". Comitato Forestale adunanza del 25/07/1913.
(3) Questa era lunga 4000 m, divisa in quattro tronchi di circa 1000 m ciascuno, del tipo "va e vieni". Tutti gli operai si dedicavano al trasporto, un giorno alla settimana, in quanto era richiesto un buon numero di maestranze che si dovevano collocare nelle stazioni intermedie per il travaso del minerale da un cassone all'altro.
(4) Lettera della Regia Prefettura di Torino del 10/12/1931 n. 55297 indirizzata al Podestà di Monastero di Lanzo.
(5) Particella catastale N 110 (foglio XXXVIII) di Ceres, di proprietà del Comune di Monastero di Lanzo e affittata per talco alla ditta Juvenal. Regia Prefettura di Torino 10/12/1931.
(6) Nel contratto la ditta doveva corrispondere un canone annuo di L 35.680, pari a L 80 per ettaro. Determina del Corpo delle Miniere Distretto di Torino del 24/11/l95l.
(7) L'altitudine di queste gallerie non è certa: su alcune mappe viene indicata una quota diversa, di alcune decine di metri superiore. Attualmente non si conosce con esattezza dov'era ubicata l'entrata di dette gallerie. In queste si era compiuto praticamente un lavoro di ricerca e coltivazione, in quanto la modesta potenza del filone di talco non permetteva lavori tali da porre in vista il minerale utile, ma, con il progredire dei lavori, il talco che si trovava si esauriva man mano che se ne seguiva la traccia. (Relazione v. nota 3).
(8) Relazione dell'ing. Tomaso Enria del 15/07/1960 sullo schema dei lavori di ricerca in regione Brunetta.
(9) Il locomotore in questione aveva il moto dato da un motore ad un assale tramite un riduttore ad ingranaggi e poi trasmesso al secondo assale tramite un giunto elastico per consentire la costante aderenza della quattro ruote al binario. Lettera allegata all'opuscolo illustrativo della EMAM. Officine Elettromeccaniche s.r.l. dell'11/06/1962.
(10) In località Vasivera si era scavata. una trincea lunga circa 25 m ove era stato seguito un filone di talco grigio chiaro della potenza variabile da 0,30 a 0,80 m per poi continuare in galleria per circa 35 m seguendo il medesimo filone la cui potenza era andata aumentando fino a raggiungere 1,20 m. Si era evidenziato una buona mineralizzazione a talco pari a circa 5.600 t. Veniva fornita anche una descrizione delle attrezzature esistenti nella richiesta concessione. A Pian della Rusa lavoravano 8 operai in estate e 12 in inverno, quando c'era maggiore disponibilità di manodopera e vi erano: due compressori azionati da motori diesel uno da CV 15 e l'altro da CV 30. Un locomotore Fercar (EMAM) con potenza pari a 27 t con due serie di batterie da 20 elementi ciascuno. Gruppo elettrogeno atto alla ricarica delle batterie. Due martelli perforatori con iniezione d'acqua. Quattrocento metri di binari decauville di cui 300 in sotterraneo con 6 vagoni con cassa in ferro. Un fabbricato suddiviso in sala compressore, deposito locomotore e refettorio (questo materiale è conservato presso la miniera di Brunetta). A Cugni lavoravano 4 operai e vi era: un compressore con motore diesel. Due perforatori ad iniezione d'acqua. Duecento metri di binari decauville di cui 150 messi in opera in galleria e 3 vagoncini. Inoltre, la ditta Possio era proprietaria, oltre che del silos per il deposito del talco in Cantoira e del mulino di Pessinetto, anche di uno stabilimento in Lanzo Torinese nel quale erano installati nove mulini del tipo Delille superventilanti della capacità complessiva di 3 t/ora, una insaccatrice automatica da 200 q/ora e un'altra era in fase di installazione da 400 q/ora.
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Generalità:
I vagoncini per il trasporto
del materiale
L'impianto della miniera Brunetta è situato a circa un'ora di cammino dalla frazione Vrù di Cantoira, in una conca selvaggia.
La sua particolarità risiede nel fatto che pur nella sua estensione limitata, è completo di numerose infrastrutture tipiche di ogni sito minerario di una certa importanza.
Il museo è visitabile in ogni stagione dell'anno: i due locali dell'officina e della cucina sono chiusi ma si possono vedere dalle finestre lasciate aperte; il locale dove staziona la locomotiva è aperto e la miniera è visitabile. Da visitare presso la graziosa borgata di Vrù (punto di partenza per l'escursione):
- Vivace artigianato in pietra ed in legno (riproduzione di casette, monumenti).
- Presepe meccanico artigianale visitabile tutto l'anno (chiedere ai residenti).
A Vrù è inoltre presente un bar/ristorante, aperto da maggio ad ottobre.
La borgata di Vru
Come arrivare:
In automobile:
Per raggiungere le Valli di Lanzo conviene imboccare da Torino la direttissima che, costeggiando il parco regionale La Mandria conduce velocemente all'ingresso delle tre valli.
Dopo la galleria di Lanzo si svolta verso Ceres; si supera Pessinetto e al semaforo si svolta in direzione di Forno Alpi Graie.
Dopo pochi chilometri si arriva a Cantoira, si attraversa il centro abitato sino a raggiungere l'indicazione per Vrù-Lities-Presepe meccanico.
In treno:
Le Valli di Lanzo sono servite dalla linea ferroviaria Torino-Ceres. I treni partono dalla stazione Dora e da Porta Susa.
A causa di lavori sulla ferrovia è possibile che alcuni tratti siano percorsi da autobus. Per informazioni e orari rivolgersi a:
Satti, tel. 011/2217835
Atav Vigo, tel. 011/856545, 011/854853
Itinerario pedonale da Cantoira a Vru:
Per chi giunge a Cantoira con mezzi pubblici o per gruppi con autobus di 40..50 posti non adatti a percorrere la stretta strada che sale a Vrù si propone il seguente itinerario pedonale.
Punto di partenza: Cantoira (750 m).
Punto di arrivo: Vrù (1030 m).
Dislivello: 280 m.
Difficoltà: Turistica.
Tempo di percorrenza: 45 minuti.
Cartografia: Mappa IGC Valli di Lanzo e Moncenisio.
Per raggiungere il sentiero si imbocca un viottolo nei pressi della fontana della frazione Villa di Cantoira (all'inizio dell'abitato), Si raggiunge così una stradina asfaltata che si abbandona dopo pochi minuti per una mulattiera.
Si sale moderatamente e al successivo bivio si svolta a sinistra. Il percorso, ben segnalato, prosegue quindi a tornanti nel fitto bosco sino a raggiungere la conca di Vru. Il sentiero termina al penultimo tornante della strada carrozzabile; dopo pochi minuti si giunge alla borgata Vrù.
Accesso alla miniera:
L'accesso alla miniera Brunetta è esclusivamente pedonale, a mezzo di mulattiera che risale lo stretto vallone di Brissout, per la maggior parte nel bosco di faggi e castagni.
L'itinerario:
Punto di partenza: Vrù di Cantoira (1030 m).
Punto di arrivo: Miniera Brunetta (1539 m).
Dislivello: 509 m.
Difficoltà: Turistica.
Tempo di percorrenza: 1 ora e 30 minuti.
Cartografia: Mappa Fraternali N. 9 - Basse Valli di Lanzo.
Dalla frazione Vrù di Cantoira (m 1.030) si imbocca una strada sterrata; dopo un ponticello, seguendo le indicazioni dei cartelli, si volge a sinistra e si raggiunge in breve la bella Borgata Rivirin (m 1.100). Qui, in corrispondenza della stazione e della teleferica che serviva alcuni alpeggi, termina la strada sterrata e inizia la mulattiera.
Si risale quindi lo stretto vallone, costeggiando il rio Brissout che si attraversa tre volte. Superata una piccola cava di calce abbandonata, al successivo bivio per san Domenico, voltare a destra.
Si costeggia il pilone votivo e si passa a fianco di una croce in marmo bianco eretta in ricordo di un minatore che perse la vita nel 1925.
Ci si inoltra in un vallone laterale; salendo ancora lungo il torrente, le tracce dell'antica teleferica si fanno via via più evidenti, finché il vallone si allarga e appare in alto la cava.
Il sentiero segue un ruscello che rende paludoso il pendio; dopo un tratto con bassi arbusti, si arriva a due di baite eccezionalmente adibite a dormitorio minatori durante il periodo invernale e voltando a destra con comodo sentiero si giunge alla miniera (m 1.580; tempo di percorrenza 1h 15').
Visite guidate:
Causa una frana sono momentaneamente sospese le visite guidate all'interno della miniera.
Il comprensorio della miniera Brunetta si articola in due settori:
- Parco geominerario costituito dal complesso degli impianti esterni (sala macchine, sala mensa, rimessa locomotore, polveriera, magazzini).
- Complesso delle gallerie per un totale di 2 Km circa di sviluppo su due livelli sovrapposti (gallerie di livello, rami secondari, rami di collegamento, vuoti di coltivazione).
Ingresso della galleria
in inverno
Le visite guidate al sito minerario, affidate dal CAI alla cura di volontari del Gruppo Ambientale Cultura Alpina", hanno la durata di circa un'ora.
Il percorso sotterraneo, che segue per 300 metri la galleria di carreggio del livello inferiore (Ribassa), permette di immedesimarsi pienamente nelle dure fatiche quotidiane dei minatori, in un ambiente allora ostile e pieno di insidie. Le gallerie sono state mantenute nelle stesse condizioni in cui si trovavano al tempo dei lavori, proprio per dare modo ai turisti di apprezzare integralmente e nel migliore dei modi il fascino che è in grado di offrire un viaggio nelle maestose viscere di una montagna.
Si ricorda inoltre che il parco geominerario (il complesso degli impianti esterni) è sempre aperto; pertanto è liberamente visitabile in ogni giorno dell'anno senza guide. Tuttavia, per apprezzare al meglio la miniera Brunetta, consigliamo vivamente le visite guidate che permettono di addentrarsi nelle buie gallerie a bordo del divertente trenino e di scoprire i vuoti di coltivazione dove fino al 1979 una decina di minatori lavorava sodo anche 10-12 ore al giorno!
Informazioni e prenotazioni:
CAI Lanzo, via G. B. Savant 1, Lanzo.
Telefono 360444949, il giovedì dalle 21.00 alle 23.00
e-mail:
Vedi il filmato sulla Miniera Brunetta
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Visita al museo
Storia della miniera
L'attività mineraria
Talco e industria
Galleria fotografica
Video "Miniera Brunetta-Testimonianze di una vita passata"
Video "Miniera Brunetta-Storie di uomini e montagne"
Video "Anello della miniera Brunetta"
Comunicazione tra due
livelli di gallerie
La miniera di talco dell'Alpe Brunetta è uno degli esempi, sempre più numerosi, di valorizzazione dell'importante patrimonio che l'attività mineraria, ormai quasi scomparsa nel nostro paese, ha lasciato in molte aree, specie in quelle montane.
Si tratta di un'iniziativa di recupero voluta e curata dalla sezione del CAI di Lanzo Torinese fin dal 1997, anno in cui è stato inaugurato un vero e proprio museo di archeologia industriale presso il sito minerario in disuso.
La miniera si trova a 1580 metri di quota sui monti sopra Cantoira, comune della piemontese Val Grande di Lanzo, a 50 chilometri circa da Torino.
É un piccolo impianto isolato, immerso nel fantastico scenario dell'impervo vallone di Brissout, ricoperto da una vegetazione lussureggiante e racchiuso tra picchi scoscesi sullo sfondo della Punta Marsé (2317 m), ai margini del Parco Nazionale del Gran Paradiso.
La particolarità di questo impianto, scelto espressamente dal CAI in quanto il più indicato per un progetto di valorizzazione, consiste nel fatto che, pur nella sua estensione limitata, è caratterizzato da tutta una serie di infrastrutture tipiche di ogni sito minerario di una certa importanza.
Nella bassa Val di Lanzo tra Ottocento e Novecento vi erano numerosi, anche se modesti, giacimenti di talco.
Le coltivazioni minerarie sopra Vru di Cantoira sono iniziate nei primi anni del Novecento: si tratta delle cave di Cugni, dei Rivet e dell'Alpe Brunetta, tutte a quota 1600-1700 metri.
Tra queste quella presso l'Alpe Brunetta è la più interessante e caratteristica.
La struttura complessiva dell'impianto che oggi si può visitare appartiene in gran parte alle ultime trasformazioni che risalgono agli anni '40, quando la proprietà passa dalla ditta Juvenal alla ditta Possio.
Stabilimento e piazzale
della miniera
La coltivazione del giacimento, a quota 1580 metri, avveniva in sotterraneo: si trova dunque una galleria principale (in termini tecnici di carreggio) da cui partono alcuni rami laterali che conducono ai rispettivi fronti di scavo per uno sviluppo complessivo di circa 400 metri.
La galleria principale è percorsa per intero da una decauville a scartamento 500 mm e trazione elettrica che collega la zona della coltivazione mineraria ai vicini stabilimenti.
Il parco rotabili è costituito da un piccolo locomotore ad accumulatori e da sei vagoncini a cassone ribaltabile.
Al termine della ferrovia si trova un piccolo piazzale ospitante un edificio in muratura (lo stabilimento) ripartito in tre settori: sala macchine (compressori, generatori, officina e magazzino); rimessa per locomotiva, sala minatori, utilizzata un tempo come alloggio diurno e ripostiglio.
Inquadramento geologico
Le Valli di Lanzo sono formate da tre vallate principali, dette rispettivamente di Viù, di Ala e Val Grande.
Dormitorio dei minatori
Le prime due presentano quasi la stessa costituzione geologica, cioè rientrano nella zona delle cosiddette "pietre verdi". La parte inferiore della Val Grande, da Ceres a Chialamberto, presenta una costituzione litologica analoga a quella indicata per le altre due valli, invece da Chialamberto e per tutta la parte alta della valle si sviluppa lo gneiss, ora nettamente scistoso ora granulare, generalmente in grandi banchi.
Nella parte più alta delle tre vallate, presso il confine italo-francese, si estendono masse glaciali persistenti abbastanza estese.
Infine, allo sbocco delle valli, affiorano rocce appartenenti al cosiddetto Massiccio ultrabasico di Lanzo.
Le rocce che compongono le Valli sono tutte rocce metamorfiche, derivate da materiale di origine sedimentaria ed eruttiva. Come si può osservare sulle carte geologiche, le pietre verdi qui formano uno degli areali di affioramento più estesi e caratteristici delle Alpi Occidentali.
Locomotore
Sulla carta geologica questo tipo di rocce sono semplicemente distinte in: prasiniti e anfiboliti, serpentini e serpentinoscisti, peridotiti.
Le prasiniti sono rocce a contenuto di silice relativamente basso (basiche), quasi sempre scistose e sono di colore grigio-verdastro.
Le serpentiniti e i serpentinoscisti sono rocce di durezza superiore alle precedenti, ricche di ossidi di ferro e, soprattutto, di magnesio. In queste Valli sono generalmente molto dure, compatte e resistenti agli agenti esterni. Le serpentiniti sono conosciute per le mineralizzazioni contenute, in particolare, sono stati ricercati e sfruttati i filoni di talco.
Tutta la porzione delle Valli a est della linea immaginaria che collega il monte Arpone, la frazione Fubine di Viù e l'Uia di Calcante è costituita da serpentiniti, al cui interno si inserisce la formazione del Massiccio ultrabasico di Lanzo, che termina a cuneo sul monte di Sant'Ignazio.
Le peridotiti costituiscono una famiglia di rocce estremamente povere in silice (dette ultrabasiche) per totale assenza di minerali acidi, come ad esempio il quarzo. Internamente sono di colore variabile tra il grigio e il verde scuro. In tali rocce predomina l'olivina, detta un tempo peridoto, dal quale deriva il nome di peridotiti. L'olivina, in particolare, è facilmente degradabile per cui la roccia si fessura agevolando l'azione del gelo che ne provoca la scomposizione in grossi blocchi.
Nelle pietre verdi sono frequenti i filoni di rocce diverse, appartenenti allo stesso gruppo. Due di queste rocce hanno avuto impieghi nei tempi passati. La prima, costituita essenzialmente da granati immersi in una matrice micaceo-talcosa, veniva utilizzata per fabbricare pietre da macina per i mulini ad acqua, un tempo presenti in ogni borgo.
La seconda varietà è la pietra ollare, di colore dal verde-grigio al verde scuro, composta da minute scaglie che rendono la roccia tenera e friabile.
Quando tale roccia si presenta pura e compatta è facilmente lavorabile per ricavarne oggetti di uso domestico: pentole e suppellettili vari.
Aspetto geologico della Val Grande
L'arrivo della teleferica a
Villa di Cantoira
Osservando la carta geologica generale si nota che buona parte della Val Grande, a monte di Chialamberto, è formata dalle propaggini meridionali del Massiccio del Gran Paradiso, in cui predomina lo gneiss. Questa formazione gneissica è avvolta da una fascia di calcescisti inglobanti pietre verdi, specialmente prasinitiche ed assai meno frequentemente serpentinose. Queste abbondano di più verso l'esterno delle Valli. In particolare in mezzo alla grande zona gneissica di Pessinetto-Tortore a sud e di Chiaves-Monastero a nord, si trova una formazione essenzialmente serpentinosa.
Nella sua parte esterna, nella vicinanze di Monastero, la roccia diventa localmente talcosa. Nello gneiss, invece, assumono particolare rilevanza le varietà scistose. Gli scisti presentano facile divisibilità in lastre sottili e sono il litotipo predominante nella valle. In particolare proprio gli gneiss si prestano bene ad essere divisi in lastre che, a seconda dello spessore, servirono a ricavare pietre da costruzione e le caratteristiche lose per la copertura dei tetti.
Il piazzale della miniera
Ormai non vi sono più cave attive nella valle ed entrambe vengono importate da altre zone.
La varia geologia della zona ha fatto si che nei secoli passati siano state attive miniere di vario tipo: dalle miniere di ferro, a quelle di talco, grafite, calce. In quantità inferiori si sono estratti vari altri metalli tra cui rame, argento e oro, anche se quest'ultimo è più legato a leggenda che a realtà. Si può tranquillamente affermare che ogni vallata ha avuto le sue miniere o le sue cave, anche se a volte di importanza solo locale.
Sullo spartiacque tra la Val Grande e la Val d'Ala si alternano tutte le formazioni rocciose presenti nelle Valli di Lanzo. Questo aspetto evidenzia che le rocce presenti nelle Valli non hanno una distribuzione così netta come sinteticamente è stato riportato, ma specialmente in posizione di contatto tra le varie unità, sia gli gneiss sia le pietre verdi passano a fasce intermedie o forme litologiche affini quali, ad esempio, micascisti e quarziti. La miniera Brunetta rientra in questo caso, infatti si trova nella zona di contatto fra gli gneiss e i micascisti, dove si hanno le maggiori mineralizzazioni a talco.
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